Marianna De Leyva, la monaca di Monza de I promessi sposi del Manzoni non era certamente sola nel monastero di Santa Margherita, con lei c’erano molte altre fanciulle “forzate” al velo claustrale contro la propria volontà.
Le vicende che le coinvolsero s’inquadrano in un microcosmo di sortilegi e malefici, lussuria e pratiche ascetiche, disciplina e corruzione del clero.
Le fanciulle venivano sacrificate a calcoli d’ambizione e d’interesse, d’avarizia e d’eredità, trasferite dai sogni dorati dell’adolescenza ai silenzi austeri delle celle, dai nascenti amori alle privazioni e all’isolamento della clausura, cui si contrapponevano i fantasmi d’una cupa disperazione, d’un irrefrenabile desiderio, d’una perversione della natura. Sotto l’abito claustrale si celavano le tentazioni, s’insinuavano i peccati, si profanavano i corpi e le anime. Se la Religione ne fu oltraggiata, la colpa va ricercata nell’infamia della nobiltà e del potere civile e religioso arroccato nei propri privilegi e nell’uso ignobile delle fanciulle. La più vergognosa delle ingiustizie s’era abbattuta sulle monache di Monza forzate al peccato e alle quali era stata chiesta una tremenda riparazione alla santità pretesa e violata.
Il silenzio e il buio sono scesi per sempre su quella tragedia umana e religiosa che ha consegnato alla storia le monache di Monza.
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