“Non senza difficoltà e con mani tremanti, data anche l’incipiente anzianità, mi accingo a scrivere quattro cose del periodo più dolce della mia vita: la fanciullezza. Per esattezza e dovizia di informazioni e prendendo in esame il periodo interessato è quel lasso di tempo che va dai 12- 13 anni fino ai 20 anni, periodo in cui ho militato nella Morandi, in pratica la mia adolescenza.
Cercherò di parlarvi della spensierata mia età nell’ambito della mia Morandi, mia seconda casa, mio dopo lavoro e mio momento di felice aggregazione post studio. “Mia” nell’accezione non oggettiva, ma possessiva e strettamente soggettiva del termine, in quanto non ero il proprietario fisico dell’entità, di quella cosa sociale, poiché non conoscendola mi sembrava qualcosa di astratto, intangibile e lontana da raggiungere. Ero soltanto un piccolo e modesto ingranaggio di quel ludico passatempo che carpiva o dispensava gioie e dolori a suo piacimento e gradimento, nell’esercizio delle sue funzioni, che erano l’espletamento di quel gioco fisico-pedestre, denominato gioco del calcio.
Chiedo venia se mi sono lasciato prendere la mano dall’enfasi in questo prologo farcito di paroloni. La mia Morandi li merita tutti, a iosa e in modo smodato, in quanto mi ha regalato, anzi, ci ha regalato tanti momenti di autentica socialità, semplice aggregazione ma grandiosa nel suo danno positivo che farà col tempo.
Tanti momenti di pura felicità, scorci di vita vissuta con gaiezza, pochi mezzi e grandi aspettative.
“Mia”, perché voglio farvi partecipi del mio proprio vedere, del mio soggettivo sentire, settario e volutamente univoco, ma senza malignità e secondi fini.”
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