Alessandro Pugi torna in libreria con un romanzo sconvolgente, per alcuni versi, Le Parole del cuore.
Parlaci di te e di chi è oggi Alessandro.
Onestamente non riesco a fornire una descrizione che calzi alla perfezione con la mia personalità. Credo che, come il protagonista di questo mio ultimo romanzo, io abbia vissuto molte vite, contornate da persone stupende che porterò sempre nel cuore e voglio sottolineare che cambierei poco o niente del mio vissuto. Da bambino, come quasi tutti i miei amici, sognavo di diventare un calciatore professionista, ma poi la mia strada ha deviato percorso bruscamente in seguito a un incidente serio al ginocchio sinistro, portandomi su binari che mi hanno indirizzato verso la professione del poliziotto penitenziario. Partito ausiliare, ho fatto carriera fino a diventare ispettore capo, ho viaggiato molto per lavoro, ma ancora una volta infortuni e incidenti hanno prodotto scossoni importanti nella mia vita.
Nel 2012, in seguito a un brutto incidente motociclistico mi è stato amputato un dito del piede che mi ha costretto a una riforma parziale lavorativa e poi, nel 2017, un grave problema cardiaco ha messo fine alla mia carriera. Aver avuto la possibilità di viaggiare molto per lavoro mi ha permesso di conoscere persone che hanno lasciato ricordi stupendi, creando amicizie che resistono nel tempo. Come dicevo, nel 2017 il destino ha cambiato ancora una volta le carte in tavola. Un infarto non riconosciuto ha creato grossi problemi al mio corpo, ma quando si ha la fortuna di cavarsela e si tocca con mano la fragilità e l’imprevedibilità della vita, i giorni assumono un colore diverso e le priorità cambiano.
Il futuro, che prima sembrava l’elemento dominante, sfuma come la nebbia diradata dal sole e il presente si dissolve dalle ansie divenendo il centro della nostra vita. Vivere ogni giorno con la consapevolezza di esserci è una sensazione che cambia gli equilibri. Guardandomi indietro rivedo con dolcezza l’Alessandro sognatore e lo confronto con quello di oggi: un uomo che non ha da chiedere molto altro alla vita, e questo mi piace perché mi fa sentire vivo e soddisfatto. Poi c’è la scrittura, ma questo è un capitolo di cui parleremo dopo.
Un nuovo romanzo è sempre un po’ una scommessa, misurarsi con il pubblico e ottenere un giudizio non è semplice… con quale stato d’animo hai atteso l’uscita di questo libro?
Partiamo dal presupposto che scrivo per il puro piacere di farlo e non ho mai pensato al pubblico come giudice delle mie idee. Ho scoperto la scrittura nel 2010, in seguito all’ennesimo incidente che mi ha costretto a letto per un lungo periodo, e in quei giorni ho iniziato e finito il mio primo romanzo, un Fantasy thriller che a rileggerlo oggi mi fa sorridere per la semplicità della mia scrittura.
Non che sia cambiata molto, resto una persona semplice che non ha una laurea, ma la lettura e l’esperienza mi hanno sicuramente permesso di migliorarmi. Per questo romanzo, però, ho messo in campo tutte le mie forze; Le parole del cuore è sicuramente un lavoro importante, vi spiegherò poi il perché, e per la prima volta mi aspetto una reazione dal pubblico, che ovviamente spero sia positiva.
Nel tuo romanzo il protagonista principale, a parte i personaggi, è senz’altro la vita che ha un inizio e una fine. Matteo, che narra in prima persona questa straordinaria storia, vive così tanto da vedere attraversare la sua vita da eventi che mai avrebbe voluto vivere. Come sei riuscito a intrecciare la trama, e cosa ti ha ispirato?
Il romanzo nasce nel 2016, e vede la sua prima stesura definitiva nel 2018. All’epoca lavoravo a Grosseto, dove voglio sottolineare di aver trovato persone fantastiche, e tornavo all’Elba il fine settimana, ma avendo un figlio di appena un anno, a volte mi capitava di fare il pendolare. Così, alzandomi presto, passando davanti al cimitero di Porto Azzurro, notavo spesso la famiglia di Daniele andare a far visita alla sua tomba. Daniele Cecchini era un giovane di Porto Azzurro che a 14 anni ha scoperto il dolore della leucemia, una malattia che tre anni dopo se l’è portato via.
Non conoscevo bene la sua storia fino a quando un giorno ho deciso di entrare in quel cimitero e mi sono piegato per pregare davanti a quella che non era una tomba, ma un reliquiario. Magliette, foto, poster, dediche, una lunga distesa azzurra, Daniele era tifoso del Napoli, adornava quella tomba. Ho provato a immaginare il dolore per la perdita di un figlio, la mancanza dell’essenza, e ho sentito il bisogno di scrivere. Così è nato Le parole del cuore, in memoria di questo ragazzo e spero che questo romanzo faccia strada proprio per la promessa che gli ho silenziosamente fatto: renderlo immortale attraverso il ricordo.
Ma è una storia vera, o in parte inventata. Un libro che parla a diversi pubblici, ma che vuole dare un messaggio ben preciso a chi leggerà questo tuo nuovo romanzo.
No, non avrei potuto scrivere la vera storia di Daniele, perché non lo conoscevo, ma la sua tragedia ha ispirato il romanzo dalla prima all’ultima pagina. Non è stato facile scriverlo, non volevo scadere nel mieloso o nel patetico, volevo semplicemente far capire che cosa è il dolore profondo e quanto possa cambiare la prospettiva di una o più vite, mostrando la vera realtà: niente è sotto controllo.
La verità è che per quanto ci sforziamo, per quanto cerchiamo di essere attenti, c’è sempre una parte della nostra vita che non può essere governata, preda di un destino che non lascia margini di manovra.
Ho corretto e ricorretto il romanzo fino allo stremo per cercare di essere chirurgico nei concetti, nelle parole. Poi, un giorno, rileggendo il romanzo per l’ennesima volta è arrivata l’idea: riscriverlo in prima persona, convinto che fosse il modo perfetto per delineare una storia così difficile da raccontare. Era la prima volta che mi cimentavo con questo tipo di narrazione e spero di esserci riuscito, così come spero di essere riuscito a lanciare più messaggi. Uno su tutti: condividere.
Quando è morto mio padre avevo ventidue anni e non ero presente, essendo di stanza a Napoli per un corso. Ho sofferto in silenzio, avvolto nel mio dolore e non volevo condividerlo con nessuno: era solo mio. Questo mi ha lasciato un rammarico infinito. Per molti anni mi sono sentito in colpa per non esserci stato, come se la mia presenza all’Elba avrebbe potuto cambiare le cose. È la prima volta che ne parlo ma lo faccio proprio perché ho imparato a mie spese che condividere un dolore, una gioia, con qualcuno che si ama, ma a volte anche con una semplice sconosciuta, come capita a Matteo ed Eleanore nel romanzo, assume un’importanza fondamentale e ti aiuta a essere più autentico.
Condividere o provare empatia verso gli altri, è il cammino da intraprendere per passare indenni attraverso un dolore o aiutare qualcuno a superarlo, perché quando irrompe inatteso, ci domina e ci indebolisce se non siamo in grado di avere un salvagente pronto a sorreggerci.
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l’autore
Alessandro Pugi
Nel romanzo hai tratteggiato il personaggio di Matteo come una figura di grande sensibilità e umanità, mista a una certa bontà che, a volte, non trova riscontro nella realtà. Chi è Matteo e chi rappresenta?
Matteo Celi, è un uomo per certi versi… straordinario. Introverso, serioso, a causa di quel dolore inatteso di cui parlavo prima, scopre la sua parte femminile dopo la morte di Sara, la sua giovane moglie, e la coltiva, crescendo il piccolo Lorenzo, suo figlio. L’evoluzione di Matteo rappresenta l’essenza del romanzo.
Un uomo che pensa al futuro, a un figlio, che vive un amore “normale” fino a quando scopre che era unico solo dopo la sua mancanza e proprio quella scoperta tardiva lo porta a coltivare il dolore del rimpianto per tutta la sua restante esistenza. Ma Matteo è un guerriero, un uomo che sa imparare dai propri errori a curare le ferite affrontandole a viso aperto, e che tenta di rimettersi in gioco grazie a Eleanore, pronta a condividere le sue emozioni, a condividere la sofferenza per trasformarla in energia vitale per entrambi. Spero di aver centrato, con Matteo, il personaggio ideale per lanciare i miei messaggi.
I personaggi principali hanno un ruolo importante per la storia. Sarebbe bello poterli conoscere attraverso le tue parole.
Andrea Sponzani, è un personaggio che fatico a inquadrare nella mia scrittura. Di solito li idealizzo per far fronte a situazioni future, li creo per innestarli in una determinata situazione. Invece, Andrea, è nato così, in modo spontaneo e ha tenuto questa sua spontaneità per tutto il romanzo. Matteo lo definisce come uno di quei borghi tranquilli e pacati dove puoi ancora tenere la chiave alla porta, proprio per sottolineare la sua affidabilità. È fantastico.
Andrea non ha una delineazione ben definita, è un’ombra, la scheggia impazzita del romanzo, l’uomo che non si vede ma del quale si percepisce la presenza. Credo che sia l’assoluto protagonista della vita di Matteo. L’amico, il fratello, il confidente, l’uomo che sa trasformarsi al momento giusto per svolgere in pieno la sua funzione: aiutare con delicatezza, essere presente pur restando al proprio posto. Andrea è il salvagente che tutti vorremmo avere proprio quando la tempesta sembra sul punto di sopraffarci mentre nuotiamo in un mare arrabbiato.
Eleanore Morrone, è bella, superba, egocentrica, irrispettosa al punto da concedere il suo corpo per esaudire un sogno. Eleanore incarna alla perfezione gli idoli di oggi, il personaggio famoso che spesso invade i nostri sogni, la donna irraggiungibile e sexy. Il suo incontro-scontro con Matteo è l’apoteosi della sua arroganza. Eppure proprio da quell’incontro, il fasullo mondo di Eleanore inizia a scricchiolare, a sgretolarsi. Le sue sicurezze sembrano incrinarsi, e l’inquietudine prende forza pronta a trascinarla nel passato per metterla in contrapposizione con l’Eleanore giovane. Eleanore è l’essenza della trasformazione, la dimostrazione di come l’amore, quello con la A maiuscola possa cambiare le cose e le persone. Eleanore saprà aprirsi alla semplicità di Matteo, alla dolcezza di Lorenzo e agli scontri con Andrea, fino a quando l’empatia per la loro storia la travolgerà senza possibilità di salvezza.
Lorenzo Celi è il figlio che tutti vorremmo. Crescere senza una madre può essere difficile, ma Lorenzo ci riesce grazie alla figura di Matteo e agli insegnamenti che riceve: il rispetto per le persone in primo luogo, poi quello verso gli animali. Il piccolo si colloca al centro della vicenda, non tanto per quello che rappresenta, ma per la sua assenza nel momento peggiore. Lorenzo è un’anima fragile che si piega agli eventi ma non si spezza fino a quando l’imprevedibilità prende il sopravvento e la sua tenerezza unica si spegne come una stella luminosa in un cielo affollato da nubi oscure.
Samuele Verza è l’uomo che entra nella vita di Matteo in seguito alla tragedia di Lorenzo. Samuele è l’incarnazione dell’empatia e lo dimostra prendendo a cuore la storia di Jack e Lorenzo. Il lavoro che svolge lo mette, ogni giorno, a confronto con la morte e questo lo corrode dentro poiché non capisce il perché di tanta sofferenza. Vive la situazione di ogni paziente come se fosse un suo diretto congiunto ed è l’emblema in positivo di quella categoria, gli infermieri, che spesso è stata bistrattata o elogiata a seconda di come viaggia la corrente sociale. Spero veramente di aver fatto luce su quanto sia difficile a livello umano svolgere il lavoro del medico e dell’infermiere.
Jack. Mi manca. Già, sembra sciocco ma l’ho talmente vissuto che ogni volta ne percepisco la mancanza. Forse perché ho sempre amato i cani, in particolare quelli abbandonati e non di razza. Con Jack entra nel romanzo anche un pizzico di fantasy, che spesso è un elemento ricorrente nella mia scrittura.
Nonostante la figura di Jack sia reale, perché un cane così è veramente esistito e ne ho avuto testimonianza attraverso il racconto di alcuni turisti di passaggio, l’immaginario si trasforma in realtà e non è stato facile da gestire in un romanzo del genere. Spero vivamente di essere riuscito a dare un tocco di leggerezza a queste pagine proprio con Jack, con le sue paure, la sua devozione e l’amore provato per Lorenzo. In fondo i cani hanno un’anima e non sono molte le persone che riescono a percepirla.
Cosa ti aspetti da questo tuo romanzo e come pensi verrà accolto dai tuoi lettori?
Onestamente mi aspetto grandi cose da questo romanzo. Forse lo sopravvaluto, forse no, ma credo fermamente in questo lavoro. È nato dal cuore, o meglio da quella piccola parte che mi resta, e mi piacerebbe che catturasse i lettori come ha catturato me ogni volta che l’ho riletto per correggerlo. Non ho mai resistito lasciando cadere lacrime sincere, forse a causa di quell’empatia che tanto ricorre nelle pagine di questo romanzo. Una commozione unica. Rivedo spesso l’ombra di Lorenzo mentre, con gli occhiali appannati, disegna strane figure sul vetro del pub ricoperto di condensa. Chi lo leggerà capirà di cosa sto parlando, è un’immagine così delicata, così dolce, che non riesco a togliermi dalla testa.
Quello che vorrei? Emozionare le persone.