Una visione politica alternativa nel saggio di Alessandro Severino

Uno strumento per riconoscere e demistificare il linguaggio politically correct, e per acquisire quella consapevolezza che è il primo passo – il più importante – verso la costruzione di un’alternativa concreta. Alessandro Severino, sociologo e formatore, presenta così il suo saggio “Gli inganni del politicamente corretto“, in uscita per Bonfirarro Editore. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Severino, lei si è assunto sin dal titolo un compito gravoso: sollevare il velo di maya del politicamente corretto e svelare la realtà che vi sta dietro. Com’è maturato in lei questo libro?

Dal mio osservatorio di sociologo ho avuto modo di studiare la deriva nichilistica del mondo contemporaneo. In particolare, mi colpisce come la decadenza valoriale sia funzionale all’instaurazione di una forma di edonismo consumistico, di un mondo asettico popolato da asettici consumatori. Il saggio è nato da queste osservazioni, dal disagio che esse comportano a chiunque abbia una sensibilità umana.

La prospettiva che descrive è inquietante.

È quello che sta accadendo oggi. Nei miei studi ho riscontrato una vera e propria capacità di dominio che il consumismo moderno è in grado di esercitare sulle masse. Metterlo per iscritto in questo pamphlet è uno sfogo che covavo da tempo, ma è anche il tentativo di condividere con il grande pubblico contenuti cruciali per la nostra libera esistenza.

Lei sostiene che alcune tendenze del mondo di oggi –  il relativismo, il multiculturalismo, l’immigrazionismo – vadano osservate in un’ottica complessiva.

La tesi del saggio è proprio questa. Ho voluto sottolineare la deriva egemonica del politicamente corretto, e la declinazione ideologica dello stesso. In realtà, quando parliamo del relativismo come fenomeno di scardinamento identitario – in campo politico, etico, sociale – parliamo di un’idea fluida della vita, concepita come l’unica dimensione possibile. E quando dico “l’unica possibile”, intendo che questo modello non salva nessun aspetto della nostra società.

Per esempio?

Tutto ciò che afferisce alla storia dell’Occidente, alla famiglia, alla civiltà, è considerato un nemico da abbattere. La storia, l’arte, la letteratura devono soccombere di fronte all’idea che non esista una realtà oggettiva. Tutto questo converge verso la riformulazione di un uomo nuovo, disperatamente solo, che poi  è il consumatore ideale a cui facevamo riferimento prima. Ecco perché dobbiamo stare attenti a non sottovalutare il politicamente corretto, a non considerarlo un semplice vezzo. Non è un vezzo, è un’arma.

Addirittura un’arma?

Certamente è un un modo di comunicare dei precetti, delle forme prescrittive di vita e di comportamento. E una prescrizione, senza la volontà del soggetto, diventa un’imposizione. Da questo punto di vista non mi sembra affatto eccessivo parlare di “arma”.

Come si reagisce a questo stato di cose, considerando che i pochi protagonisti della politica capaci di interpretarlo hanno mostrato – alla prova dei fatti – totale inconsistenza?

Partirei da un ragionamento pre-politico. Io ho voluto fornire uno strumento utile ad affrontare la realtà, a “pensare diversamente” rispetto al pensiero unico veicolato dai media mainstream. Ritengo che il primo passo da fare sia ribellarci all’azzeramento del pensiero critico, che va di pari passo con quello identitario. “Disperare bene”, come dice Marcello Veneziani.

Poi, però, si arriva alla politica.

Certamente si arriva alla strutturazione di una proposta alternativa. Ed è vero che in questo momento non si riesce a dare un contrappeso al pensiero unico globalista. Non si è ancora strutturata una risposta seria, matura e credibile, anche in quei movimenti identitari e sovranisti che hanno mostrato di avere una certa forza a livello nazionale e internazionale.

Perché questo non è avvenuto?

Per molte ragioni. Anche perché questa parte politica non controlla nessuna “cittadella” dell’informazione, e ha quindi difficoltà oggettive a veicolare il proprio messaggio. Il ruolo dei media, come dicevo, non va assolutamente sottovalutato ed è anzi centrale. Ma ho ragione di credere che l’alternativa riuscirà a venire fuori. Il mio libro è un contributo in questo senso.

La prefazione e la postfazione portano firme eccellenti.

Ringrazio Nuccio Carrara e Francesco Giubilei, che hanno corroborato in maniera efficace i contenuti del saggio, offrendo la loro visione politico-culturale e la loro lettura della situazione odierna. I loro testi sono risultati assolutamente complementari rispetto alle tesi da me espresse. Sono pregiato e onorato di questi contributi.

Pubblicare un libro in piena pandemia è una scelta coraggiosa, tanto per l’editore quanto per l’autore.

Direi piuttosto necessaria, e ringrazio Bonfirarro Editore per la fiducia. La conclusione del saggio – senza troppo avventurarci – teorizza la necessità di un nuovo umanesimo, di nuovi orizzonti di senso, di nuovi sentimenti comunitari. E la domanda che si pone è la seguente: può la pandemia far da collante per il rinsaldarsi dei legami sociali che sono la precondizione di tutto questo?

Domanda impegnativa, Severino.

Uscire con il libro in questo periodo difficile significa dare una risposta, delineando una visione politica alternativa, e sottolineo politica più che economica. Ma per capire esattamente cosa voglio dire, bisogna leggere il saggio.

(Intervista di Valerio Musumeci)

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